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martedì 29 luglio 2008

LA MAFIA UCCIDE IL SILENZIO PURE / DI GIORNO IN GIORNO PIU' DIFFICILE VIVERE NELLA REGIONE DELLA NDRANGHETA. PERCHE' LA CALABRIA NON RIALZA LA TESTA?

Ho deciso di rispolverare il blog dopo aver letto nella città dove vivo un manifestino autoprodotto con sopra questa scritta: MURO BIANCO, POPOLO MUTO. Ci ho ripensato tornando a casa, e ho adottato la frase, ma in forma di metafora. Il silenzio non è mai un buon segno, e meno che mai davanti alla gravità delle cose calabresi che - potrei sbagliarmi - mai sono state così drammatiche. Mai come adesso la ndrangheta è stata così potente. Controlla il traffico europeo della cocaina, è tra i leader nel commercio illegale di armi, conta su incondizionati appoggi da parte di politici, uomini delle istituzioni, professionisti e perfino intellettuali. In più la mafia calabrese ha ormai così tanti soldi da non sapere più che farne. Secondo Eurispes 44 miliardi di euro, il 2,4 del Pil nazionale. Sono il frutto di decenni di attività illecite condotte nella più assoluta tranquillità. Un frutto pronto da ripulire grazie a spericolate operazioni finaziarie, prestanomi, professionisti collusi e banche complici. Un frutto che se da una parte rende la associazione un soggetto finanziario capace di infiltrare società multinazionali quotate in borsa, dall'altra lo proietta al primo posto tra i gruppi economici più importanti della regione, con quel che ne consegue in termini di erogazione di benefici sociali (posti di lavoro, raccomandazioni ecc.) e di consenso.
Ma la ndrangheta è anche profondamente divisa al suo interno. L'organizzazione, complessa, pure strutturata in tanti autonomi centri di comando che occupano il territorio, mostra tuttavia quasi ovunque le difficoltà di mantenere un equilibrio interno: faide sfiorate per un pelo o in corso a Papanice, Gioia Tauro, Lamezia Terme, San Luca, Cittanova, Taurianova, Palmi, Cinquefrondi, eccetera eccetera. E dove non è la guerra di mafia ad uccidere, il sangue lo fa scorrere un clima di violenza diffusa, con ragazzini che mettono paura ai poliziotti, e inoffensivi pensionati uccisi per un qualche "sgarbo". A completare il quadro si aggiungano le minacce e le intimidazioni a quanti alzano la testa: amministratori, giornalisti, imprenditori, commercianti. Per ciascuno di loro un messaggio, a ciascuno di loro un ammonimento. Risultato: la Calabria di oggi. Quella che vorrei ricominciare a descrivere. Senza reticenze e senza sconti. Per nessuno. Nemmeno per le istituzioni da sempre presenti in città e paesi dei quali tutto sanno e tutto possono sapere, ma senza che questo comporti più efficacia nella lotta alla ndrangheta. Nemmeno per quei sindaci che parlano di emergenza da vent'anni senza muovere un dito. Nemmeno per la cosiddetta società civile, vittima, si, dello strapotere della mafia, ma troppe volte anche carnefice di se stessa.
Lungo questo cammino per fortuna c'è già qualcuno in marcia: i ragazzi che hanno recuperato il murale di Gioiosa Jonica, i giovani giornalisti dei quotidiani regionali (come Agostino Pantano vittima recente di una intimidazione), gli straordinari volontari di Libera e delle cooperative che con don Pino De Masi lavorano le terre confiscate ai mafiosi... E' ancora troppo poco. Ma un lungo viaggio comincia sempre con un primo, piccolo, incerto passo.