
Ma la ndrangheta è anche profondamente divisa al suo interno. L'organizzazione, complessa, pure strutturata in tanti autonomi centri di comando che occupano il territorio, mostra tuttavia quasi ovunque le difficoltà di mantenere un equilibrio interno: faide sfiorate per un pelo o in corso a Papanice, Gioia Tauro, Lamezia Terme, San Luca, Cittanova, Taurianova, Palmi, Cinquefrondi, eccetera eccetera. E dove non è la guerra di mafia ad uccidere, il sangue lo fa scorrere un clima di violenza diffusa, con ragazzini che mettono paura ai poliziotti, e inoffensivi pensionati uccisi per un qualche "sgarbo". A completare il quadro si aggiungano le minacce e le intimidazioni a quanti alzano la testa: amministratori, giornalisti, imprenditori, commercianti. Per ciascuno di loro un messaggio, a ciascuno di loro un ammonimento. Risultato: la Calabria di oggi. Quella che vorrei ricominciare a descrivere. Senza reticenze e senza sconti. Per nessuno. Nemmeno per le istituzioni da sempre presenti in città e paesi dei quali tutto sanno e tutto possono sapere, ma senza che questo comporti più efficacia nella lotta alla ndrangheta. Nemmeno per quei sindaci che parlano di emergenza da vent'anni senza muovere un dito. Nemmeno per la cosiddetta società civile, vittima, si, dello strapotere della mafia, ma troppe volte anche carnefice di se stessa.
Lungo questo cammino per fortuna c'è già qualcuno in marcia: i ragazzi che hanno recuperato il murale di Gioiosa Jonica, i giovani giornalisti dei quotidiani regionali (come Agostino Pantano vittima recente di una intimidazione), gli straordinari volontari di Libera e delle cooperative che con don Pino De Masi lavorano le terre confiscate ai mafiosi... E' ancora troppo poco. Ma un lungo viaggio comincia sempre con un primo, piccolo, incerto passo.